- Studio Legale Simone Lazzarini - https://www.studiolegalelazzarini.it -

La proposizione del ricorso gerarchico ex lege 210/1992 per contestare il mancato riconoscimento del nesso causale tra le trasfusioni subite ed il danno riportato interrompe il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno biologico: nuove speranze per i danneggiati trasfusi occasionali?

Con sentenza n.12218 del 7 novembre 2012 il Tribunale di Milano, Sezione Decima, Dr.ssa Giovanna GENTILE ha affrontato per l’ennesima volta la vexata quaestio della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni subiti da soggetti danneggiati da epatiti post-trasfusionali giungendo ad una conclusione che, se seguita da altri giudici, potrebbe offrire una speranza in più a tanti danneggiati, in particolar modo ai soggetti trasfusi occasionali che, soltanto dopo lunge traversie amministrative-giudiziarie, si vedono riconosciuto il nesso causale tra le trasfusioni subite e la patologia contratta e, conseguentemente, anche il diritto all’indennizzo di cui alla legge 210/1992.
Questo lo snodo cruciale dell’importante decisione: “Secondo una interpretazione univoca della Suprema Corte, la domanda proposta in via amministrativa e diretta ad ottenere l’ annullamento del provvedimento lesivo è idonea, per tutta la durata del processo amministrativo, ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nel giudizio proposto dinanzi all’ A.G.O. Il ricorso amministrativo ed il suo successivo atto di impugnazione interno a quel procedimento, hanno la stessa natura dell’ atto stragiudiziale che interrompe il corso della prescrizione dell’ azione giudiziale ex art. 2943 4 comma e 2945 c.c. Gli atti del procedimento ex L. n. 210 del 1992 hanno dunque effetti al di fuori dell’ ambito strettamente amministrativo nel senso che valgono come atti stragiudiziali di costituzione in mora, in cui è evidente la volontà del richiedente di ottenere il riconoscimento del proprio diritto leso dalla PA e ciò a prescindere dalla natura indennitaria della richiesta amministrativa e di quella latu sensu risarcitoria della domanda giudiziale, stante lo stretto legame tra indennizzo amministrativo e danno liquidato in via giudiziale, dal quale deve pacificamente il primo detrarsi ( in caso di accoglimento della domanda giudiziale per un importo maggiore dell’ indennizzo ). L’ eccezione di prescrizione va dunque respinta poiché ( a tacer d’ altro ) il corso della prescrizione è stato interrotto dal ricorso gerarchico proposto nel procedimento amministrativo dall’ attore in data 18-10-2002 e l’ atto di citazione del presente giudizio è stato notificato in data 2-8-06 ben prima del decorso del termine quinquennale.
L’attore ha contratto l’epatite C a seguito di trasfusioni eseguite durante il ricovero ospedaliero avvenuto presso l’Ospedale di Piacenza nell’ ottobre 1980, a seguito di trasfusioni con sangue infetto ; in data 13/12/200 proponeva domanda di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 La Commissione Ospedaliera, negava l’ indennizzo che gli veniva riconosciuto dal giudice ordinario nella sentenza emessa dal giudice del Lavoro del tribunale di Lodi che ha accertato il nesso di causa , riconosciuto l’indennizzo e si è dichiarato incompetente per le domande proposte al Ministero essendo competente il foro erariale.

La sentenza – che a quanto mi risulta non è comunque isolata (v. ad esempio Tribunale di Roma, Sezione Tredicesima, sentenza del 14 dicembre 2010, n.24383 che così aveva argomentato: “Deve pertanto ritenersi che, in considerazione dei ripetuti atti interruttivi della prescrizione successivi all’inoltro della richiesta di indennizzo e da ultimo il ricorso presentato avverso la prima decisione della CMO, la notifica dell’atto di citazione sia avvenuta nel termine di 5 anni dall’ultimo atto. Si osserva peraltro, ad abundantiam, che dapprima l’inerzia dell’Amministrazione, nonostante la solerte diligenza degli aventi diritto a sollecitare notizie in ordine alla decisione relativa alla richiesta di indennizzo e, successivamente, la decisione negativa in prima istanza della CMO, assunta nel 1997 e comunicata solo nel 2001, danno ragione della incolpevole incertezza delle odierne attrici – valutabile anche secondo i parametri dettati dalla sopra citata sentenza delle S.U. – in ordine alla corretta percezione del danno subito quale danno ingiusto causalmente ricollegabile al comportamento virtualmente colposo dell’Amministrazione, incertezza protrattasi anche a seguito della lentezza del procedimento e della decisione in prima istanza sfavorevole.“- rende in parte giustizia a chi – come il sottoscritto e tanti altri colleghi amici – da anni sostiene a gran voce che le numerose sentenze emesse dalle Sezioni Unite nel 2008 vadano lette in modo non superficiale, rifuggendo dall’automatismo che vorrebbe aprioristicamente stabilire in automatico che, nel momento in cui viene presentata la domanda d’indennizzo di cui alla legge n.210/1992, un soggetto sia munito di tutti gli elementi necessari per poter agire in giudizio a fini risarcitori.
Quanto stabilito dal Tribunale di Milano non è però ancora abbastanza.
Continua infatti pericolsamente a latitare, nelle sentenze di merito, un’indagine approfondita (che certo sarebbe onere del Ministero convenuto ed eccipiente sollecitare) volta ad accertare non soltanto quando il danneggiato sia consapevole del danno subito e della sua ricollegabilità causale alle trasfusioni, ma anche e soprattutto del carattere di ingiustizia della lesione subita e cioè della sua addebitabilità a titolo di dolo o di colpa al comportamento di un terzo.
Soltanto se il danno (di cui sia certa la ricollegabilità causale alle trasfusioni) è percepito (o può essere percepito come tale, attraverso l’ordinaria diligenza) come ingiusto e non come tragica fatalità può iniziare a decorrere il termine di prescrizione!
Questo è il modo corretto in cui le numerose sentenze delle Sezioni Unite andrebbero lette.
Del resto, anche se in diversa materia, va segnalata Cass. Civ., Sez. III Civ. Sentenza 2 febbraio 2007, n. 2305, secondo cui “l’azione di risarcimento del danno da intesa anticoncorrenziale, proposta ai sensi del 2° comma dell’art.33 della legge 10 ottobre 1990, n.287, si prescrive, in base al combinato disposto disposto degli artt. 2935 e 2947 c.c., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l’ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia. Il relativo accertamento compete al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione, se sufficientemente e coerentemente motivato”.
Qui di seguito i passaggi più significativi:
il testo dell’art. 2947 c.c – che riecheggia quello contenuto nella norma di suo diretto riferimento, ossia l’art. 2043 c.c. in tema di “fatto illecito” – deve essere, dunque, letto ed interpretato compatibilmente al criterio di fondo che informa la disciplina codicistica della prescrizione, secondo il quale l’inerzia del titolare del diritto acquista significato solo di fronte alla possibilità di esercizio del diritto stesso, quando cioè l’atto di esercizio vale a soddisfare l’interesse tutelato. Al contrario, non si può parlare di inerzia quando l’esercizio del diritto non è giuridicamente possibile, perché in questo caso non s’è neppure in presenza di un interesse insoddisfatto…allora, se la tutela aquiliana del danno presuppone la verificazione di un danno ingiusto, è indispensabile che il titolare del diritto al risarcimento, affinchè lo eserciti, sia adeguatamente informato non solo dell’esistenza del danno, ma anche dell’attribuibilità ad esso del carattere dell’ingiustizia. Diversamente non può riscontrarsi nel suo comportamento l’inerzia e, dunque, la ragione stessa che, come s’è visto, è al fondo della prescrizione”.
E inoltre:
In questa sorta di epifania del danno e della sua ingiustizia, l’inerzia (e, quindi, il momento della prescrizione) fa la sua apparizione quando il complesso di informazioni che compone il quadro cognitivo del soggetto leso raggiunge un livello di completezza tale da essere ritenuto sufficiente a consentirgli di esercitare il diritto risarcitorio…Insomma, la lungolatenza del danno – ovvero lo scollamento temporale tra il momento dell’inflizione del danno ad opera del danneggiante ed il momento della sua percezione da parte del danneggiato – fa sì che il titolare del diritto possa dirsi in stato di inerzia, rispetto all’esercizio del diritto risarcitorio, solo al momento in cui sia adeguatamente edotto dalle circostanze di questo particolare fenomeno d’illecito prospettato dalla legge n.287 del 1990. L’accertamento del momento in cui siffatta informazione si sia adeguatamente compiuta appartiene al potere del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e motivatamente motivato. Con l’opportuna precisazione che, sul punto, entra in gioco l’ordinario regime della prova, nel senso che compete a chi eccepisce la prescrizione l’onere di provare il momento in cui chi agisce abbia assunto l’adeguata e ragionevole percezione del danno subito e della sua ingiustizia. Così come, s sua volta, l’attore potrà addurre fatti tendenti a contrastare l’eccezione” .

Avv. Simone LAZZARINI