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Quali prospettive di tutela per i non ascrivibili ex lege 210/92 dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione?

La recente sentenza 10214/2007 della Corte di Cassazione, da noi per primi segnalata, ha suscitato, come era prevedibile, una ridda di interrogativi e di possibili interpretazioni (non sempre condivisibili) su quali possano essere le prospettive per i soggetti danneggiati che si siano visti negare il diritto all’indennizzo sulla scorta di un giudizio di non ascrivibilità tabellare.
A nostro parere occorre distinguere varie ipotesi e, correlativamente, vari comportamenti da adottare:
Caso di soggetto giudicato non ascrivibile che non abbia proposto alcun ricorso gerarchico
In questa prima ipotesi è opportuno che il soggetto proponga immediatamente ricorso gerarchico e ciò anche qualora il termine di 30 giorni al quale fa riferimento l’art.5 della legge 210/1992 sia spirato. infatti, contrariamente a quanto immotivatamente affermato dall’Amministrazione, il termine di 30 giorni non è espressamente stabilito dal legislatore a pena di decadenza sicchè l’unico termine realmente dirimente è quello della prescrizione decennale. Per quanto si dirà in seguito il ricorso gerarchico è da considerare soltanto una tappa di un percorso più articolato.
Caso di soggetto giudicato non ascrivibile che abbia proposto ricorso gerarchico, ancora non deciso dal Ministero
In questa seconda ipotesi è bene che l’interessato rompa gli indugi ed agisca giudizialmente innanzi al Tribunale del Lavoro del luogo di residenza senza attendere la decisione del Ministero sul ricorso presentato in via amministrativa. L’esperienza di centinaia di casi ci ha purtroppo insegnato che assai raramente l’Ufficio Medico Legale ministeriale modifica in senso favorevole al danneggiato il giudizio sulla menomazione dell’integrità psico-fisica espresso dalle Commissioni medico-ospedaliere di cui all’art.4 legge 210/1992.
Caso di soggetto giudicato non ascrivibile anche all’esito della decisione del Ministero della Salute sul ricorso gerarchico
In questa terza ipotesi l’unica strada è quella dell’azione giudiziaria, ancora una volta da proporre innanzi al Tribunale del Lavoro competente per territorio. A giudizio di chi scrive – ma anche di autorevole giurisprudenza di merito – il termine annuale entro il quale agire in giudizio (anch’esso stabilito dalla legge 210/1992) non può essere considerato (al pari di quello di trenta giorni entro cui presentare ricorso gerarchico) come previsto a pena di decadenza giacchè se il legislatore lo avesse così voluto intendere, lo avrebbe detto espressamente. è semmai da tenere presente, ancora una volta, il termine prescrizionale decennale.
In ciascuna delle tre ipotesi sopra illustrate sarà senz’altro utile esibire a giudici e consulenti (auspicabilmente competenti in materia e non specializzati solo in infortunistica stradale) l’ormai nota sentenza e, in caso di esito favorevole, si potrà verosimilmente ottenere il riconoscimento del diritto all’indennizzo con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla data di presentazione della originaria domanda amministrativa.
Anche per questo non ci sentiamo francamente di condividere l’orientamento, suggerito da altri, i quali invitano a presentare domanda di aggravamento all’ente competente. Nel caso che occupa, infatti, non è configurabile alcun aggravamento (si tratta soltanto di proporre a chi deve giudicare un diverso criterio valutativo della menomazione dell’integrità psico-fisica già valutata) e, soprattutto, affidarsi all’aggravamento significherebbe automaticamente perdere tutti gli arretrati decorrenti dalla domanda originaria, considerato che l’eventuale accoglimento della domanda di aggravamento farebbe maturare il diritto all’indennizzo soltanto a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla proposizione di tale domanda
Saranno probabilmente le prime sentenze in materia a chiarirci definitivamente le idee.