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Maxi-risarcimento a una famiglia di una giovane thalassemica deceduta a causa dell’HCV: il Tribunale di Milano condanna il Ministero della Salute a pagare oltre 1.350.000 euro agli eredi

Con sentenza n. 139/2012 emessa il 10 gennaio u.s. dal Tribunale di Milano, Sezione decima civile, Dr.ssa Giovanna Gentile, in un caso seguito dal nostro studio, il Ministero della Salute è stato condannato a risarcire il complessivo importo di oltre un milione e trecentocinquantamila euro ai genitori ed al fratello di una giovane thalassemica deceduta a causa dell’HCV.
Naturalmente non si tratta nè della prima nè dell’ultima sentenza che un tribunale italiano emette in casi simili.
Siamo a conoscenza di casi in cui le liquidazioni concesse sono state ancora superiori.
Tuttavia due dati ci sembrano meritevoli di essere segnalati nel caso da noi seguito.
Sotto un primo profilo va osservato che, se il Ministero della Salute avesse perfezionato a tempo debito la procedura transattiva cui anche gli eredi della sfortunata giovane avevano aderito (rinviando più volte l’udienza conclusiva), avrebbe risparmiato – e quindi fatto risparmiare anche ai contribuenti che in fin dei conti siamo sempre noi – oltre settecentomila euro.
è vero che la sentenza è soltanto di primo grado, tuttavia non è affatto da escludere che l’esito di un eventuale appello possa addirittura peggiorare l’entità della condanna al risarcimento dovuto dal Ministero della Salute, considerato che nell’importo liquidato non si è tenuto conto nè del danno non patrimoniale subito dalla giovane quand’era in vita (e reclamato dagli attori iure hereditario), nè del danno patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) subito dagli eredi durante la malattia ed in conseguenza del decesso della congiunta.
Non sembra pertanto fuori luogo ipotizzare, considerate anche le parallele iniziative della class action amministrativa e del ricorso alla CEDU, la configurabilità di un significativo danno all’erario conseguente ai ritardi nella chiusura dell’iter transattivo.
Sotto un secondo profilo va sottolineato che, nel caso che occupa, il Tribunale – alla luce della particolarità del caso – ha motivatamente ritenuto di discostarsi dalle tabelle in uso presso il tribunale di milano per il risarcimento del c.d. danno da perdita del rapporto parentale, liquidando nel caso del fratello della deceduta un importo addirittura quasi triplo rispetto ai massimi tabellari e comunque significativamente superiore ai massimi anche per quanto riguarda i genitori.
Ecco il passaggio più significativo della sentenza:
Nel caso di specie spetta ai congiunti, non essendo revocabile in dubbio il nesso causale tra la grave patologia della vittima e suo decesso il danno non patrimoniale inteso non solo come sofferenza patita per la morte ma anche come lesione del diritto costituzionalmente garantito all’integrità della famiglia …. …..considerate anche la lunga durata della malattia, le sofferenze dei suoi parenti, l’alternarsi di speranze e di terribili delusioni ed infine la morte in giovane età si stima equo liquidare, nello specifico caso, a ciascuno dei congiunti nella rispettiva qualità di genitori e fratelli la somma di euro 380.000,00 per ciascuno dei genitori e la somma di euro 360.000 per il fratello…..“.
E ancora:
condanna il Ministero della Salute a corrispondere agli attori la somma di euro 382.500,00 per ciascuno dei genitori e di euro 360.000 per il fratello …. .; dette somme devono essere maggiorate degli interessi compensativi del 2% dalla data dell’evento di morte alla data della sentenza oltre interessi legali dalla sentenza al saldo“.
Per concludere un’ultima riflessione: in generale è tutt’altro che agevole ottenere l’esecuzione di una sentenza di condanna nei confronti di una pubblica amministrazione, anche per importi ben più modesti come quelli ad esempio dovuti a titolo di differenze per rivalutazione della somma corrispondente all’indennità integrativa speciale (la parte economicamente più sostanziosa dell’indennizzo ex lege 210/1992).
Tuttavia, considerato che anche le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive, sembra sin d’ora doveroso ricordare, anche in questo caso, quanto affermato dalla CEDU in una nota decisione (CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO, GRANDE CAMERA, Strasburgo, sentenza 29 marzo 2006), naturalmente pronunziata contro lo Stato italiano:
La Corte può ammettere che un’amministrazione possa aver bisogno di un lasso di tempo prima di procedere a un pagamento; …..comunque tale lasso di tempo non dovrebbe in genere superare sei mesi a partire dal momento in cui la statuizione ……. diviene esecutiva…….Come la Corte ha già abbondantemente ripetuto, un’autorità dello Stato non potrebbe addurre a pretesto la mancanza di risorse per onorare un debito fondato un una decisione di giustizia“.
Che tali principi siano di monito a chi, anzichè fare applicazione dei principii di buona amministrazione, da anni, si perde in chiacchiere….
Non vorremmo essere costretti a ricorrere alla Cedu anche per lamentare la mancata esecuzione delle singole sentenze….
In ogni caso siamo pronti..

Avv. Simone LAZZARINI